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Le API, dall’acronimo Application Programming Interface (interfaccia di programmazione delle applicazioni), sono interfacce di comunicazione tra due programmi o sistemi. Fondamentalmente, un’API permette che due programmi parlino fra loro, creando così una connessione: un programma condivide determinate informazioni, sotto forma di codice, che un secondo programma utilizzerà per il proprio funzionamento.
In altre parole, un’API non è altro che un servizio web, tipicamente protetto, che a fronte di un input restituisce un output conseguente. Si tratta dunque di una sorta di scatola nera che a prescindere dalla logica in essa contenuta segue un protocollo di comunicazione e una struttura definita per fornire un risultato a un qualche software.
Per uno sviluppatore mettere a disposizione un set di Application Programming Interface rappresenta un ottimo strumento per promuovere un programma e offrire a terzi la possibilità di interagirci, estendendo così le funzioni e le caratteristiche della struttura base della piattaforma.
Tra le tante aziende che offrono set di API, facilitando l’accesso dei programmatori ai componenti software, troviamo, ad esempio, Salesforce, Oracle e Google. Il concetto alla base è quello di comporre API riutilizzabili ed evitare che i reparti IT debbano sviluppare connessioni da zero. Per poter essere comprese e riutilizzate da terzi però, è necessario che le API siano ben scritte.
Ma che aspetto ha un’API ben scritta? Solitamente, un’Application Programming Interface ben strutturata include una buona specifica e un utile codice di esempio che possa poi essere copiato e incollato. In generale, è necessario che siano progettate e realizzate per un utilizzo semplice e che risultino facili da gestire, configurare e mettere in sicurezza.
Leader tra le piattaforme che si occupano di orchestrazione e management di API troviamo Mulesoft, parte della famiglia Salesforce dal 2018.
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